martedì 10 maggio 2016

10 MAGGIO 1996 - 10 MAGGIO 2016 "IL GUFO NON DIMENTICHERA' MAI LA TRAGEDIA DELL'EVEREST"

Niente politica e informazione locale,  oggi 10 maggio 2016.   E'  il giorno del Grande Lutto,  della memoria della tragedia dell'Everest del 10 maggio 1996.   Il Gufo  (in lacrime)  non dimenticherà mai quella tragica vicenda di montagna,  che lo ha colpito immensamente,   raccontata in diversi libri scritti dagli scalatori superstiti a quella giornata drammatica,  e descritta in modo meraviglioso  nell'inverno dell'anno 2015 nelle sale cinematografiche con lo straordinario film  "EVEREST"  del regista islandese Baltasàr Kormakùr.    Il Gufo si lascia andare completamente al suo dovere di cronista,  e offre un piccolo resoconto  (sintesi dei diversi libri da lui letti,  e il Gufo li ha letti tutti,  dal capolavoro  "Aria sottile"  di Jon Krakauer al libro drammatico  "A un soffio dalla fine"  di Beck Weathers,   dallo straordinario resoconto  "Everest  -  Io c'ero"  della scalatrice danese Lane Gammelgaard all'asciutto libro  "Everest  -  Cronaca di un salvataggio impossibile"  di Anatoli Boukreev,   oltre ad aver visto per ben quattro volte il film nelle sale cinematografiche)  della giornata più drammatica della storia dell'alpinismo mondiale delle scalate dei mitici  "Ottomila",   scusandosi con i lettori se la cronaca sarà inevitabilmente lunga,  ma invitandoli caldamente ad avere pazienza e a immergersi nella lettura  (e qui il Gufo auspica che il suo prezioso  "lettore cireneo"  Massimiliano Chiari inserirà questo post di alta montagna sulla sua pagina Facebook,  per condividere insieme ai suoi amici dei social network una straordinaria e inedita narrazione del blog del Gufo)  

SERATA DEL 9 MAGGIO 1996  -  nella  "zona della morte",  a oltre 7.900 metri di altitudine,  le due squadre di alpinisti guidati dai due scalatori più esperti del mondo in materia di spedizioni commerciali sul Monte Everest  (la squadra  "Adventure Consultants"  guidata dall'alpinista neo zelandese Rob Hall,  il quale è coadiuvato dalle guide Andy Harris e Mike Groom e dagli sherpa nepalesi guidati dal  "capo sherpa"  Ang Dorje,   e la squadra  "Mountain Madness"  guidata dallo stravagante ed estroso alpinista americano Scott Fischer che è coadiuvato dalla guida americana Neil Biedlemann e dalla guida kazaka Anatoli Boukreev oltre agli sherpa nepalesi guidati dal  "capo sherpa"  Lopsang Jangbu)   hanno piantato le loro tende nel  "campo 4",   l'ultima sosta prima della grande scalata del giorno successivo che li deve condurre alla vetta dell'Everest situata a quota 8.848 metri di altitudine.  Sono rimasti i seguenti scalatori a tentare l'ultimo assalto alla vetta:  nella  "Adventure Consultants"  oltre al capo spedizione,  alle guide e al capo degli sherpa sono pronti a salire in vetta gli scalatori Beck Weathers,  Doug Hansen,  John Taske,  Jasuko Namba  (una scalatrice giapponese a cui manca solo la vetta del Monte Everest per conquistare tutte le sette vette più alte dei sette continenti mondiali,  le mitiche  "Seven Summits"),  Lou Kasischke,  Frank Fischbeck,  Stuart Hutchinson e il giornalista americano Jon Krakauer;   nella  "Mountain Madness"  sono rimasti in lizza per conquistare la vetta il capo spedizione,  le due guide,  il capo sherpa e gli scalatori Tim Madsen,  Sandy Pittman  (una ricca americana talmente eccentrica e stravagante da portarsi nei campi a oltre 7.000 metri di altezza l'intera pesantissima e ingombrante attrezzatura informatica per spedire messaggi internet dai campi avanzati),   la scalatrice danese Lane Gammelgaard,  Charlotte Fox  (la compagna di Tim Madsen),   Martin Adams  e  Klev Schoening,   mentre hanno già rinunciato alla possibilità di scalare la montagna  (per gravi malori accusati nei campi intermedi)  due scalatori della  "Mountain Madness",   l'anziano Peter Schoening e Dale Kruse,  quest'ultimo tornato solo con grandi difficoltà al  "Campo Base"  grazie all'aiuto del capo spedizione Scott Fischer,  il quale è stremato a causa delle energie spese per trasportare l'amico Kruse al  "Campo Base".  Insieme agli scalatori di queste due squadre,  anche uno scalatore taiwanese  (unico reduce della sua spedizione nazionale),   Makalu Gau,  tenta  "in solitaria"  la scalata alla vetta del Monte Everest.   Imperversa una fortissima tempesta,  che mette seriamente in dubbio la possibilità di scalare il Monte Everest la mattina del 10 maggio 1996 come da programma congiunto delle due spedizioni;  una gravissima incomprensione tra i due  "capi sherpa"  Ang Dorje  e  Lopsang Jangbu provoca uno sciaguratissimo contrattempo  (che sarà decisivo per la tragedia del giorno successivo)  in quanto pur essendosi accordati per partire prima degli altri a fissare le corde sul tratto più ripido e più tecnico della scalata non rispettano l'impegno preso con i loro capi spedizione e non assolvono questo compito;   infine alcuni scalatori  (Beck Weathers che ha evidenti problemi alla vista,   Frank Fischbeck e Doug Hansen che nel percorso di avvicinamento al  "campo 4"  hanno accusato diversi momenti di stanchezza e di  "quasi collasso fisico",   il capo spedizione Scott Fischer che è esausto per lo sforzo compiuto nel riportare al  "Campo Base"  l'amico Dale Kruse e per risalire nella stessa giornata dal  "Campo Base"  fino al  "Campo 2"  e  infine Sandy Pittman  e  Jasuko Namba che non sono all'altezza di compiere da sole senza assistenza una scalata impegnativa come questa)  non sembrano nelle condizioni migliori per tentare la scalata finale,  ma nonostante questa evidenza dei fatti non rinunciano e partono per la scalata finale insieme a tutti gli altri

MATTINA DEL 10 MAGGIO 1996  -  in piena notte la tempesta improvvisamente si placa e le due spedizioni  (a mezzanotte)  partono per la scalata:  "Adventure Consultants"  parte 30 minuti prima rispetto a  "Mountain Madness"  e  Scott Fischer parte in netto ritardo rispetto a tutti gli altri;   in piena notte,  insieme agli altri due gruppi,  parte per la scalata anche il taiwanese Makalu Gau  (assistito da uno sherpa).   Viene fissata dal capo spedizione Rob Hall una regola rigida e prudenziale:   chi non avrà raggiunto la vetta dell'Everest entro le 14:00  dovrà tornare indietro,  per evitare di essere sorpreso dall'oscurità e dal rischio di affrontare la discesa senza più bombole di ossigeno.  La guida kazaka Anatoli Boukreev,  come da tradizione,  decide di salire senza utilizzare l'ossigeno,   e di scendere prima di tutti gli altri per farsi trovare pronto e con riserve di energia intatte al  "campo 4"  in caso di emergenza e di necessità di soccorso in alta quota.   La mattina si registrano i primi fatti inquietanti:  Lopsang Jangbu è costretto a trainare con la corda Sandy Pittman e si sente male  (vomita ed è in ritardo rispetto al suo gruppo),  Frank Fischbeck e Doug Hansen confermano di non essere in condizioni fisiche ottimali,  ma mentre Fischbeck prudentemente rinuncia alla scalata e torna al  "campo 4"  (salvandosi la vita),   Hansen imprudentemente prosegue la scalata;   a quota 8.400 metri di altezza Beck Weathers si ferma e rinuncia a salire in vetta,  a causa dei suoi problemi di vista che sono ormai evidenti,  ma anche in questo caso anzichè accompagnarlo al  "campo 4"  i suoi compagni di scalata proseguono e gli impongono di fermarsi  (al gelo degli 8.400 metri di altitudine)  ad aspettarli per diverse ore dopo il loro ritorno dalla vetta;   infine Ang Dorje si incazza quando scopre che le corde non sono state fissate vicino al tratto tecnico e ripido chiamato  "Hillary Step"  e che Lopsang è in grave ritardo,   ed è costretto a fissare lui le corde aiutato dalle altre guide di  "Mountain Madness"  e  da Jon Krakauer;   a causa di tutti questi ritardi  (e valutando che in condizioni di sovraffollamento nello strettissimo punto di scalata del gradino  "Hillary Step"  si sarebbero accumulati ulteriori ritardi rispetto alla  "tabella di marcia"  originaria),   per ragioni di prudenza anche Lou Kasischke,  Jon Taske e Stuart Hutchison  (malgrado erano in buone condizioni fisiche e in grado di proseguire la scalata verso la vetta)  saggiamente decidono di tornare indietro,  arrivano senza problemi al  "campo 4"  prima di sera e si salvano la vita

HANNO RAGGIUNTO LA VETTA PRIMA DELLE 14:00  OPPURE QUALCHE MINUTO DOPO LE ORE 14:00   Jon Krakauer,  Anatoli Boukreev,  Andy Harris,  Mike Groom,  Martin Adams  e  Neil Biedleman,  che possono quindi iniziare  "in sicurezza"  la discesa avendo davanti a loro diverse ore prima dell'arrivo dell'oscurità.  Nonostante qualche problema,  tre di loro  (Anatoli Boukreev,  Martin Adams e Jon Krakauer)  raggiungono il  "campo 4"  prima dell'oscurità,  ma Jon Krakauer è talmente stanco da crollare esausto nella tenda e si addormenta.   Sono in ritardo  (ma raggiungono la vetta intorno alle 15:00)  gli alpinisti Klev Schoening,  Tim Madsen,  Charlotte Fox,  Sandy Pittman,  Jasuko Namba:  la giapponese è completamente stremata.   Raggiunge la vetta anche lo scalatore taiwanese solitario Makalu Gau,  ma il Gufo non ha capito bene in quale ora il taiwanese ha raggiunto la vetta  dell'Everest.  In grave ritardo giungono sulla vetta quasi alle 16:00 Scott Fischer  (a sua volta completamente stremato)  e  Lopsang Jangbu,   mentre Rob Hall  "trascina a forza"  sulla vetta uno stremato Doug Hansen e la raggiunge dopo le 16:00,   in un orario di grave ritardo ed estremamente rischioso che li condanna di fatto alla morte quasi sicura:   i due sono sorpresi dalla tempesta fortissima e improvvisa  (che si scatena verso le 17:00),  ci mettono troppe ore a scendere dal duro scalino  "Hillary Step"  e in questa circostanza Doug Hansen scivola e precipita,  è la prima vittima della tragica spedizione dell'Everest                     

LA TEMPESTA SI SCATENA ALLE 17:00  quando i gruppi ormai sono tra loro divisi:  Lopsang Jangbu tenta vanamente di accompagnare al  "campo 4"  l'esausto capo spedizione Scott Fischer,  che a circa 8.300 metri di altezza non ce la fa più e si ferma:  resterà in quella posizione per tutta la sera del 10 maggio e per tutta la notte,  completamente immobile e agonizzante,  prima di morire congelato il giorno successivo mentre alcuni sherpa tentavano vanamente di rianimarlo con il thè caldo,   mentre Lopsang sopravvive solo perchè  "abbandona"  il capo spedizione al suo destino e si precipita al  "campo 4"  per chiedere soccorso ad Anatoli Boukreev.   Il taiwanese Makalu Gau scende da solo e collassa e crolla a pochi metri di distanza da Scott Fischer:  anche lui passa la notte in quelle drammatiche condizioni,  ma i soccorsi del giorno successivo per lui avranno successo,  i soccorritori riusciranno a rianimarlo e a trasportarlo  (con grandi difficoltà)  al  "campo 4".    La guida Andy Harris,   nonostante versa in precarie condizioni di lucidità  (ha erroneamente ritenuto bombole vuote e prive di ossigeno delle bombole che in realtà erano ancora piene di riserve di ossigeno e quindi utilizzabili,   nonostante Jon Krakauer che in quel momento era con lui tentasse di convincerlo che si sbagliava e che le bombole erano piene di ossigeno)   va in soccorso del suo capo spedizione Rob Hall,  lo raggiunge,  ma entrambi sono stremati e senza ossigeno:  passano una notte intera in condizioni drammatiche,  poi misteriosamente Harris scompare di scena  (probabilmente scivola in un precipizio)  e non viene più ritrovato.     Il gruppo più numeroso è quello formato dalle due guide Mike Groom e Neil Biedleman,   dagli alpinisti  (in buone condizioni)  Klev Schoening,  Tim Madsen,  Charlotte Fox,  Lane Gammelgaard,   dagli alpinisti  (completamente stremati al punto da poter proseguire solo con l'aiuto degli altri)  Sandy Pittman,  Jasuko Namba e Beck Weathers,  che era stato lasciato troppo a lungo da solo ad aspettare a quota 8.400 metri di altitudine prima che qualcuno si decidesse a  "raccoglierlo"  e ad immetterlo in questo gruppo

L'INCREDIBILE SALVATAGGIO DI ANATOLI BOUKREEV  -  questo gruppo si disperde a circa 8.200 metri di altitudine,  e per non morire tutti insieme,  Neil Biedleman,  Klev Schoening  e Lane Gammelgaard decidono di staccarsi dai compagni e di raggiungere da soli il  "campo 4"  e  chiedere soccorso.    I tre alpinisti raggiungono completamente al collasso fisico la salvezza,  ma riescono a dare preziose informazioni alla guida Anatoli Boukreev che tutto solo  (e in piena notte!!!!)   raggiunge i dispersi:  lui e l'altro alpinista in buone condizioni  (Tim Madsen)  soccorrono e trascinano quasi da soli al  "campo 4"  le due alpiniste stremate Charlotte Fox e Sandy Pittman,  salvandole da morte sicura.    Quello che il giorno prima sembrava un errore gravissimo e pieno di conseguenze irreparabili commesso dalla guida kazaka  (Anatoli Boukreev che scala la vetta dell'Everest senza ossigeno e scende prima di tutti gli altri  anticipando tutti nel suo arrivo a  "campo 4")  si rivela determinante per la riuscita del soccorso a quota 8.000 metri:   solo Boukreev,  tra quelli che sono riusciti a rientrare a  "campo 4"  dopo la scalata,  ha la forza fisica necessaria per compiere con successo le operazioni di soccorso degli alpinisti di  "Mountain Madness"  che erano dispersi;   Stuart Hutchison che tenta di organizzare e coordinare i soccorsi insieme alla guida kazaka chiama gli altri alpinisti che hanno raggiunto il  "campo 4",   ma tutti giacciono nelle loro tende allo stremo delle forze e nessuno di loro è nelle condizioni fisiche necessarie per aiutare Boukreev nell'operazione di soccorso notturna.  Il giorno successivo,  quando la tempesta si è calmata,  si tentano alcune disperate azioni di salvataggio:  Scott Fischer viene raggiunto da alcuni sherpa della squadra di  "Mountain Madness",  guidati dal padre di Lopsang Jangbu,  ma i tentativi di rianimarlo sono vani,  non ce la fa più,  è ormai agonizzante e viene lasciato morire a quota 8.300 metri di altitudine,   gli sherpa riescono a rianimare e a salvare solo il taiwanese Makalu Gau che grazie ai soccorsi e al thè caldo si rialza e riesce  (assistito dai soccorritori)  a raggiungere il  "campo 4";   Ang Dorje  (insieme ad altri soccorritori della squadra  "Adventure Consultants")  a causa di una nuova forte tempesta non riesce a raggiungere Rob Hall che in una ultima disperata e commuovente telefonata con il satellitare viene messo in contatto con la moglie,  e la saluta per l'ultima volta,  prima di agonizzare e morire a sua volta congelato e tutto solo;   Stuart Hutchison raggiunge Beck Weathers e Jasuko Namba  (che erano stati abbandonati la sera prima da Boukreev:  la guida kazaka poteva salvare solo due alpinisti,  e ha dovuto scegliere quelli in migliori condizioni fisiche)  ma li trova ormai quasi congelati e agonizzanti e li abbandona al loro inevitabile destino,   ritenendo  (Hutchison era un medico)  che non ci fosse più nulla da fare per loro,  e che la morte dei due alpinisti era ormai inevitabile.   Jasuko Namba in effetti muore congelata,   ma Beck Weathers con una miracolosa e inaspettata reazione si rialza,  e malgrado è completamente congelato e quasi cieco,  con una fortissima determinazione raggiunge clamorosamente il  "campo 4"  la sera del 11 maggio 1996,  viene soccorso con acqua calda e thè,   riesce miracolosamente a scendere fino al  "campo 2"  a quota 6.200 metri circa dove un elicottero riesce a raggiungerlo e a trasportarlo in un ospedale nepalese:  i medici gli amputano una parte del naso naso e parzialmente le braccia e le mani,  ma riesce a salvarsi la vita

L'ESITO FINALE DELLA TRAGEDIA  è drammatico:  cinque persone morte  (i due capi spedizione Rob Hall e Scott Fischer,  la guida di montagna Andy Harris,  gli scalatori Jasuko Namba e Doug Hansen),   uno scalatore in gravissime condizioni che sarà per sempre parzialmente menomato dal punto di vista fisico per tutto il resto della sua vita  (Beck Weathers)  a cui si aggiunge uno sherpa della squadra  "Adventure Consultants"  che in data 8 maggio,  colpito da edema celebrale,  è stato trasportato in un ospedale nepalese dove è morto qualche mese dopo in conseguenza di questo gravissimo trauma.   Gli  "eroi della montagna"  sono ancora sepolti nella  "zona della morte"  sopra quota 8.000 metri di altitudine,  i loro corpi e la loro anima riposano per sempre nella loro amatissima montagna che è l'Everest,  resterà per sempre scolpito il loro nome tra coloro che hanno raggiunto la vetta  (i loro tragici decessi si sono verificati tutti nella discesa verso i  "campo 4",  dopo aver completato con successo la scalata),   e il Gufo vuole tributare ancora una volta a questi cinque eroici e meravigliosi alpinisti il piccolo racconto a ricordo della loro storica impresa,   perchè prima di morire hanno deciso di vivere intensamente,   e sono rimasti nel cuore di chi  (come questo semplice,  vecchio e retrogrado Gufo)  ha letto in modo intenso,  appassionato e profondamente emozionato i resoconti e le cronache della loro ultima scalata alla più leggendaria delle vette degli  "Ottomila"   
    

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