Si è tenuta a Castelli Calepio, al Centro Tennis Mongodi, l'assemblea annuale della Banca di Credito Cooperativo del Basso Sebino: è l'ultima piccola banca della porzione di territorio bergamasco che va da Castelli Calepio fino a Tavernola Bergamasca (e comprende anche la porzione di territorio bresciano che va da Capriolo fino a Iseo), le altre banche le hanno già uccise. La U.B.I. Banca ha assorbito la Banca Popolare di Bergamo: ormai è un carrozzone quotato in Borsa, le cui azioni sono precipitate rapidamente da un valore superiore a 10,00 euro a un valore di poco superiore a 3,20 euro, e il "territorio bergamasco" è solo uno dei tanti di una banca diventata "nazionale". Lo stesso destino sarà quello dell'ormai defunto Credito Bergamasco: il Banco Popolare (fusione tra Credito Bergamasco e Banca Popolare di Verona) in soli quattro mesi ha visto precipitare il valore delle azioni da oltre 13,00 euro fino a poco più di 4,25 euro attuali, la banca è ormai a sua volta "nazionale" e lontana dal territorio, con tutte le logiche da "finanza di assalto" delle società quotate in Borsa, e questa tendenza avrà un'altra fortissima accelerazione dopo l'ormai imminente e inevitabile ulteriore fusione con la Banca Popolare di Milano, che è a sua volta diventata un carrozzone ed è quotata in Borsa. Adesso è stata recentemente approvata la riforma delle Banche di Credito Cooperativo, che grazie alle "rapine di Stato" con nomi e sigle inglesi (ad esempio il famigerato "bail in", che vuol dire in poche parole che se una banca fallisce, magari per le scellerate e spericolate gestioni finanziarie dei suoi amministratori e funzionari, ci rimettono gli azionisti, tra i quali i piccoli risparmiatori, gli obbligazionisti e quelli che hanno in deposito presso quella banca più di 100.000,00 euro di risparmi, che non è una cifra da ricco ma un normale risparmio accumulato da una tradizionale famiglia media a due stipendi oppure a due lavori dopo 20 anni di attività lavorativa) per ora obbligano tutte le banche, comprese quelle piccole e "territoriali" comprese le banche di credito cooperativo, non solo a mettere in atto una marea di procedure meramente cartacee e burocratiche (molto costose, che appesantiscono il bilancio della banca e alla fine sono fatte gravare sui clienti) e di comunicazioni inutili chiamate ipocritamente "controlli", ma sono anche obbligate a pesanti accantonamenti ai fondi di riserva e al rafforzamento del proprio patrimonio e della propria solidità (meno soldi messi in circolo in prestiti a imprese e famiglie e più soldi che finanziano i vari "fondi salva banche").
Un esempio è quello che ha colpito la nostra Banca di Credito Cooperativo del Basso Sebino, che a fronte di un utile netto (dopo le imposte e dopo i vari accantonamenti in adempimento a queste procedure borboniche dell'Unione Sovietica Bancaria Europea) di circa 350.000,00 euro, che la conferma come una delle banche di credito cooperative più solide e più sicure della Lombardia, ha dovuto versare circa 200.000,00 euro di accantonamenti ai vari "fondi salva banche". I soldi sottratti dalla piccola economia del territorio (quella a sostegno della mutualità cooperativa tra i soci, della solidarietà verso le associazioni, del finanziamento a famiglie e delle piccolissime imprese dei paeselli della zona) sono stati utilizzati per alimentare quel famigerato "fondo salva banche" e quindi per salvare banche molto più grandi (come dimensioni e come patrimonio) quotate in Borsa e disastrosamente fallite come Banca Etruria: gli amministratori delle nostre piccole banche locali fanno quadrare i conti evitando gestioni avventurose e spericolate e gli amministratori delle "grandi banche nazionali quotate in Borsa" e vittime di gestioni fallimentari ringraziano, alcuni di loro riescono a evitare il processo (che sarebbe sacrosanto e meritato) per bancarotta fraudolenta solo grazie alle leggi e alle leggine approvate frettolosamente grazie all'intercessione di qualche ministro "interessato" e ai "salti della quaglia" di vecchi politicanti fiorentini molto attivi nei rapporti con il mondo delle banche e della grande finanza, e magari ci ritroveremo presto questi disastrosi amministratori della banche che hanno rischiato il collasso (mettendo sul lastrico diversi risparmiatori con consulenze azzardate in investimenti che erano spacciati come "sicuri" e che in realtà si sono rivelati molto rischiosi) in televisione a pontificare e a dare lezioni di alta finanza, di credito e di banche. La Lega Nord dovrebbe insorgere molto più di quello che ha fatto fino a ora (anche se proprio la Lega è "macchiata" da un peccato originale di 10 anni fa per le disastrose vicende di "Credieuronord" e dei rapporti troppo stretti e pericolosi con l'ambiguo banchiere lodigiano Fiorani) e dovrebbe farne la Grande Battaglia Politica di libertà dei prossimi anni: quella di salvare le piccole banche del territorio da fusioni troppo avventurose e dalla trasformazione di piccole (ma economicamente sane) gestioni lombarde in carrozzoni nazionali che producono solo debiti, stipendi da nababbi per altissimi dirigenti che si rivelano peggiori dei politici, per poi "piangere miseria" e chiedere alle piccole banche di salvare le banche quotate in Borsa, la battaglia per far rimanere "sul territorio" e con criteri di gestione decisi "come abito su misura per quel piccolo territorio" le banche di credito cooperativo e le piccole banche tradizionali locali: e non dovrebbe essere difficile fare una battaglia liberale e politicamente popolare come questa, perchè quando una banca quotata in Borsa fallisce invece di assurdi salvataggi l'unica soluzione è quella di dichiarare fallimento, portare i libri in Tribunale, affidare la gestione a un commissario liquidatore straordinario (come fu il caso dell'eccellente Ambrosoli ai tempi delle tragiche vicende del Banco Ambrosiano e di Michele Sindona) e processare per bancarotta fraudolenta i dirigenti colpevoli della gestione finanziaria sciagurata, arrivando anche alla confisca dei loro beni e dei loro arricchimenti illeciti se si scopre che hanno commesso gravi reati penali e agito in malafede nella gestione della banca che è fallita
Non sono tra quelli, caro Gufo, che considerano le banche il Tempio del Male, ma che via sia un problema grande come una casa nel sistema bancario, non solo italiano, questo è evidente anche al più distratto tra gli osservatori. Provo a farla semplice, sperando che la mia lettura non sia "troppo" semplice, e quindi banale. Le grandi banche, italiane ed internazionali, hanno da tempo tradito le proprie orgini: non sono più, principalmente, "luogo" di deposito dei risparmi e "luogo" di prestito per favorire gli investimenti produttivi. No, sono diventate, principalmente e per lo più, dei grandi speculatori finanziari che operano sui mercati non sulla base della solidità (i fondamentali) dei titoli che trattano, ma esclusivamente sulla redditività a medio o addirittura breve periodo. L'umportante è guadagnare e, come ben sai, il guadagno potenziale è direttamente proporzionale al rischio. Naturalmente quando qualcosa sui mercati va male, qualcuno deve pagare. In un normale libero mercato dovrebbero essere solo le banche, i loro dirigenti e gli azionisti a pagare. Ma il mercato finanziario non è un mercato normale (anche per la forte "alleanza" che vi è tra i politici ed i banchieri), quindi quando vi è da pagare il conto, chi lo paga? Ovvio, lo scemo di turno, il cittadino ed il risparmiatore che, quasi sempre, coincidono.
RispondiEliminaIn un mercato LIBERALE (e non sovietico come quello bancario italiano) sarebbe sufficiente una leggina, che suddivide le banche in tre grandi categorie: le piccole banche locali legate al territorio (che possono fare operazioni di investimento, raccolta e impieghi tradizionali e non rischiose solo nei confronti dei loro soci, delle associazioni e dei clienti del territorio che rappresentano); le "banche commerciali tradizionali" a livello nazionale, che possono fare con qualunque operatore di qualunque provenienza geografica solo le operazioni bancarie "tradizionali" di impiego, raccolta e investimento (queste banche dovrebbero costituire un fondo di garanzia per rimborsare i clienti in caso di insolvenza); e infine le "banche di affari" che possono agire solo con operatori esperti come il Gufo (che hanno la piena conoscenza degli strumenti di Borsa complessi e sono in grado di operare anche con il "trading on line"), che fanno operazioni rischiose e che mettono pienamente a conoscenza fin dall'inizio i loro clienti che l'investimento rischioso può produrre un utile "superiore alla media", ma che se la Banca fallisce oppure se l'investimento finisce male il cliente perde tutto e non ha diritto nessun rimborso statale. Questa semplice distinzione separerebbe fisicamente "gli squali della finanza" dai clienti tradizionali della banca, consentirebbe alle banche di non mischiare le operazioni tra rischiose e non rischiose e di specializzarsi in base a quella che è la loro attività, e consentirebbe anche agli operatori "trading on line" come il Gufo di operare in un gruppo che comprende solo operatori con sangue freddo e pienamente a conoscenza degli strumenti di Borsa, senza rischiare crolli dovuti a "crisi di panico" delle vendite di massa degli operatori inesperti che svendono le loro azioni (per paura spesso irrazionale) alla prima notizia negativa sui giornali e alla prima manovra speculativa dei maneggioni che li spennano da mattina a sera. Chissà per quale motivo una leggina che sarebbe semplice, facile da approvare e con effetti benefici per tutti non viene approvata da nessun governo, di destra oppure di sinistra
EliminaNon sono tra quelli, caro Gufo, che considerano le banche il Tempio del Male, ma che via sia un problema grande come una casa nel sistema bancario, non solo italiano, questo è evidente anche al più distratto tra gli osservatori. Provo a farla semplice, sperando che la mia lettura non sia "troppo" semplice, e quindi banale. Le grandi banche, italiane ed internazionali, hanno da tempo tradito le proprie orgini: non sono più, principalmente, "luogo" di deposito dei risparmi e "luogo" di prestito per favorire gli investimenti produttivi. No, sono diventate, principalmente e per lo più, dei grandi speculatori finanziari che operano sui mercati non sulla base della solidità (i fondamentali) dei titoli che trattano, ma esclusivamente sulla redditività a medio o addirittura breve periodo. L'umportante è guadagnare e, come ben sai, il guadagno potenziale è direttamente proporzionale al rischio. Naturalmente quando qualcosa sui mercati va male, qualcuno deve pagare. In un normale libero mercato dovrebbero essere solo le banche, i loro dirigenti e gli azionisti a pagare. Ma il mercato finanziario non è un mercato normale (anche per la forte "alleanza" che vi è tra i politici ed i banchieri), quindi quando vi è da pagare il conto, chi lo paga? Ovvio, lo scemo di turno, il cittadino ed il risparmiatore che, quasi sempre, coincidono.
RispondiElimina