PIETRO BADOGLIO. Nelle sue ricostruzioni storiche e nei suoi studi del Ventennio Fascista il Gufo non riesce a individuare un altro esempio migliore di quello di Badoglio che possa rappresentare i vizi e i trasformismi della politica italiana, e soprattutto la caratteristica principale dell'Italia che prevede carriere lunghe e di successo per coloro i quali riescono a essere ''uomini buoni per tutte le stagioni'' in modo da superare indenni qualsiasi disfatta e da rimanere sempre al comando delle operazioni indipendentemente dal regime politico che in quel momento è al governo. La carriera militare e politica di Pietro Badoglio avrebbe potuto e dovuto concludersi nel mese di ottobre 1917, dopo la disfatta militare di Caporetto, quando il crollo del reparto di armata da lui guidato e le incredibili inefficienze nelle comunicazioni tra gli alti comandi militari, che venivano informati solamente con gravi ritardi di diverse ore della situazione che precipitava, furono una delle ragioni principali che determinarono il crollo e l'avanzata dell'esercito tedesco e di quello austro ungarico per diversi chilometri in pieno territorio nazionale italiano. La sconfitta di Caporetto costò il posto di comando al generale Luigi Cadorna che fu rimosso dal ruolo di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito e fu sostituito dal generale Armando Diaz, per l'ovvio principio che quando si verifica una disfatta di quelle proporzioni gli alti comandi ne devono rispondere anche se le inefficienze pratiche sono state a carico dei loro diretti sottoposti, ma malgrado tutto Badoglio riuscì incredibilmente a uscirne indenne, a mantenere i propri gradi militari e a continuare quella che era stata fino a quel momento una brillante carriera.
La seconda vicenda di Badoglio risale all'ottobre 1922, in pieno Governo Luigi Facta, sempre sotto il regno di Vittorio Emanuele III. Era in fase di preparazione la futura ''marcia su Roma'' organizzata da Benito Mussolini e siccome Luigi Facta, uomo di destra e conservatore rigidissimo dalle idee autoritarie, aveva intenzione di reprimere l'insurrezione fascista con la forza proponendo al Re il decreto per stabilire ''lo stato di emergenza'' che avrebbe conferito al Governo i pieni poteri in materia di ordine pubblico e di difesa del territorio della capitale Roma, il Capo del Governo e il Re chiesero consiglio ai generali e ai militari più prestigiosi e di più alto grado nella scala gerarchica, tra i quali lo stesso Badoglio. Ovviamente molti di questi militari, compreso Badoglio, dissero che non sarebbe stato un problema per loro reprimere l'insurrezione fascista, che dal punto di vista organizzativo era improvvisata e quasi grottesca, e spazzare via con facilità gli insorti arrestando se necessario i capi della rivolta. Luigi Facta forte di questi pareri fece predisporre dai suoi ministri il decreto che proponeva al Re la dichiarazione dello ''stato di emergenza'' ma quando il Re, che fino a poche ore prima sembrava favorevole alla firma di quel decreto, a sorpresa cambiò idea rifiutando la firma e congedando il presidente del Consiglio che fu costretto alle dimissioni, Badoglio fu tra i primi a capire che il Re aveva intenzione di nominare Benito Mussolini come futuro presidente del Consiglio e siccome era stato abile a fiutare che ''il vento era cambiato'', pur senza diventare fascista dal punto di vista formale iniziò a diventare molto collaborativo con il nuovo regime che avanzava. Iniziava quindi la ''fase due'' di Badoglio, che dal nuovo regime fascista riceveva cariche e onori militari di grandissima importanza a tal punto che fu uno dei principali comandanti della spedizione militare in Etiopia degli anni 1935 e 1936 e all'inizio della Seconda Guerra Mondiale era addirittura Capo di Stato Maggiore, ossia era salito ai vertici della gerarchia militare sotto il Governo presieduto da quel Benito Mussolini che egli stesso nell'ottobre 1922 non avrebbe esitato a spazzare via su ordine di Luigi Facta.
La fase tre è quella più famosa di tutte, quella dei giorni immediatamente successivi al 25 luglio 1943. La guerra per l'Italia era stata disastrosa e dopo l'invasione della Sicilia da parte di inglesi e americani che nel luglio 1943 penetravano militarmente in pieno territorio nazionale italiano si poteva tranquillamente prevedere che la guerra per l'Italia si sarebbe conclusa con una grave disfatta militare. Malgrado lui si trovava ai vertici della gerarchia militare fu facile trovare un nuovo ''capro espiatorio'', questa volta la responsabilità politica e militare della disfatta poteva essere gettata in collo a Benito Mussolini che era diventato inviso alla stessa popolazione che fino a qualche anno prima a grande maggioranza lo acclamava con applausi a scena aperta nelle principali piazze italiane. Furono gli stessi gerarchi fascisti a provvedere a fare ''il lavoro sporco'' nella ormai famosa riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 24 - 25 luglio 1943, e a sfiduciare di fatto Benito Mussolini che veniva consegnato praticamente nelle mani del Re al termine di un'assemblea che aveva approvato un ordine del giorno che lo esautorava di fatto dai principali poteri di comando militare che erano quindi riportati nelle mani del sovrano. Da generale che aveva fatto carriera sotto il Fascismo Badoglio diventava quindi il primo presidente del Consiglio ''anti fascista'' nominato dal Re che gli conferiva pieni poteri in una situazione di emergenza militare e con una guerra in pieno svolgimento anche sul territorio nazionale italiano.
La fase quattro è quella delle ''due guerre''. Il 25 luglio 1943 appena insediato Badoglio dichiarava che ''la guerra continuava'' e quindi di fatto la guerra andava avanti nel rispetto dell'alleanza con la Germania nazista, visto che in quel momento l'Italia era formalmente alleata proprio con i tedeschi con i quali aveva stipulato alcuni trattati internazionali che legavano le due nazioni in un'alleanza militare. In realtà Badoglio aveva fatto questa dichiarazione per guadagnare tempo e intavolare trattative segrete con gli Alleati, che si concludevano in data 8 settembre 1943 con la resa incondizionata dell'Italia che passava nel giro di poche ore da nazione alleata militare della Germania a nazione che aveva stipulato un accordo contro i nemici della Germania e quindi iniziava a sua volta operazioni militari contro l'ex alleato. Era stata un'operazione necessaria dal punto di vista politico e anche militare, ma fu preparata e messa in pratica in modo disastroso perchè malgrado gli oltre 40 giorni di tempo a disposizione dal 25 luglio al 8 settembre troppi reparti dell'Esercito si fecero sorprendere dai tedeschi e trovare completamente impreparati ad affrontare la nuova situazione militare e politica.
Per fortuna fu risparmiata alla nazione almeno ''la fase cinque'', quella della discesa in campo nella politica attiva dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. In realtà nulla avrebbe impedito a Badoglio di ''scendere in campo'' malgrado l'età avanzata e malgrado i numerosi fallimenti del passato, ma lui stesso ebbe il buon senso, in questa fase finale della sua carriera e della sua stessa vita, di prendere la decisione di ritirarsi a vita privata. Probabilmente quella decisione fu dettata dal fatto che Badoglio era diventato inviso alla destra che non gli ha mai perdonato ''il tradimento del 25 luglio 1943'' e non era affatto nelle simpatie della sinistra che non aveva affatto dimenticato che lui fu per lunghi anni ''generale in carriera'' anche sotto il regime fascista. Tuttavia nessuno in Italia ha mai avuto una carriera di successo e prestigiosa come quella di un generale che è stato per diversi anni ai vertici della gerarchia militare e per due anni anche ai vertici della gerarchia politica nazionale nella posizione di Capo del Governo in una situazione di emergenza nella quale egli era chiamato a rispondere del proprio operato solamente al Re che gli aveva conferito l'incarico. Molti generali italiani, per preparazione strategica e tattica e per qualità operative di comando e di decisione, furono certamente migliori di lui ma nessuno si muoveva con la sua abilità nei Palazzi del Potere romano, nessuno riuscì nel giro di pochi anni a essere prima ''ai vertici'' di un regime parlamentare liberale, poi ''ai vertici militari'' del regime fascista e infine nominato ''Capo di Governo anti fascista'' dopo la disfatta del luglio 1943 e grazie a una spregiudicata manovra di Palazzo organizzata dal Re. Fu un generale ''buono per tutte le stagioni'', e molti politicanti italiani della Prima e anche della Seconda Repubblica hanno imparato bene la lezione e sono riusciti a sopravvivere politicamente per diversi decenni saltando con totale disinvoltura da un carrozzone all'altro e riuscendo sempre a trovarsi al posto giusto e al momento giusto, anche dopo un fallimento politico nel quale avevano incarichi di grande responsabilità
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