''QUO USQUE TANDEM ABUTERE, CATILINA, PATIENTIA NOSTRA'' si chiedeva Marco Tullio Cicerone, tradotto in italiano significa chiedersi ''fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza''. Raramente una frase antica, che risale a un discorso pubblico del 63 Avanti Cristo pronunciato da Cicerone nell'aula del Senato della Repubblica di Roma, ha unito nella maledizione intere generazioni di studenti, si tratta della frase introduttiva della prima delle famigerate 'Catilinarie', le lunghe e interminabili orazioni di Cicerone che hanno tirato matti studenti del liceo classico e studiosi di latino, che scivolavano spesso in errori e strafalcioni nella difficile opera di traduzione di questo discorso. Cicerone ci va giù pesante contro quel rivoluzionario che, dopo essersi presentato diverse volte come candidato alla carica di console ed essere stato sempre bocciato dagli elettori oppure ancora prima delle elezioni per cavilli legali e formalismi procedurali che ne avevano spesso invalidato la candidatura, pronuncia un durissimo discorso in cui chiede provocatoriamente all'avversario politico 'ribelle' fino a quando la sua follia e la sua sfrenata ambizione, che si erano trasformate in aperta ribellione contro le istituzioni repubblicane, avrebbero continuato a trascinare la Repubblica in una situazione vicina al colpo di Stato. La drammaticità della situazione e delle scene furono aggravate da alcune situazioni ambigue create ad arte dallo stesso Cicerone, che indossava una corazza sotto la toga mentre parlava per simboleggiare che la sua vita era in grave pericolo, e che faceva spregiudicato utilizzo della diffamazione esagerando ad arte le sue accuse contro Catilina nelle quali mischiava i fatti reali con insinuazioni sulla presunta perversione e malvagità di animo di Catilina, accuse che ovviamente essendo personali erano estremamente difficili da dimostrare.
Cicerone quella mattina era incazzato nero. Aveva trascinato Catilina in Senato per provocarlo e indurlo a commettere errori che potessero dare al grande oratore il pretesto per metterlo formalmente in stato di accusa, dopo essere miracolosamente scampato quella mattina stessa a un complotto ordito da Catilina e dai suoi complici per ucciderlo. Cicerone sarebbe dovuto essere ucciso una mattina di novembre del 63 Avanti Cristo, da due falsi emissari di Catilina che si sarebbero dovuti recare a casa sua con un pretesto per sorprenderlo mentre era solo in casa e ucciderlo, e questo barbaro omicidio - l'uccisione di Cicerone - sarebbe stato il segnale che i rivoluzionari guidati da Catilina e dai suoi complici, tra i quali spiccavano il senatore Leca e il tribuno Manlio, sarebbero piombati su Roma in preda al caos dopo l'omicidio e avrebbero preso il potere con la forza, dichiarando lo stato di emergenza e distribuendo le principali cariche pubbliche tra i principali cospiratori che guidavano la congiura. Purtroppo come sempre la solita ''talpa'', una certa Fulvia amante di uno dei congiurati che erano 'di seconda fila', che si chiamava Quinto Furio, faceva ''il doppio gioco'' e mentre fingeva di essere una delle più ferventi e convinte cospiratrici, in realtà in segreto informava Cicerone delle intenzioni dei congiurati, e fu proprio Fulvia con una sua delazione a svelare appena in tempo a Cicerone il piano di Catilina per ucciderlo, salvando la vita del grande oratore che per la mattina in cui era previsto il suo omicidio aveva predisposto di far sorvegliare la propria abitazione da alcune guardie e in tal modo aveva scoraggiato gli avventurieri che non erano riusciti a coglierlo di sorpresa e da solo in casa. Anche Catilina in realtà era incazzato nero, si era regolarmente candidato alla carica di console ma fu clamorosamente sconfitto dal mediocre Murena, nella peggiore campagna elettorale della storia della Roma antica in cui da una parte Catilina con una demagogia fuori controllo prometteva tutto a tutti e si tirava dalla sua parte il popolo e i gladiatori con impossibili promesse, e dall'altra parte Murena e Cicerone terrorizzavano la borghesia inducendola a votare Murena parlando continuamente di complotti veri oppure presunti del rivale, ricorrendo massicciamente a lettere anonime per le accuse e le calunnie nei confronti dell'avversario politico e infine manipolando lo stesso conteggio dei voti con alcuni brogli elettorali scandalosi e indecenti.
La sola forza della parola consentì a Cicerone di vincere il grande duello in Senato. Con un discorso da politicante abile e consumato che durò diversi giorni, Cicerone riuscì a tirare dalla sua parte i senatori più influenti e quelli indecisi, e a suscitare in loro una dose talmente massiccia di indignazione che quando Catilina tentò di difendersi dalle accuse fu travolto dalle urla demagogiche dei senatori scandalizzati. Catilina perse la pazienza, commise l'errore devastante di abbandonare Roma lasciando alcuni complici al loro destino nelle mani di Cicerone e pronti per essere arrestati, e si ritirò a Fiesole trasformando con quella mossa la vicenda da una dura lotta politica in una vera e propria ribellione con insurrezione militare e armata. Cicerone mandò l'esercito per reprimere la rivolta e la vicenda finì nel sangue, nel modo più drammatico, quando il generale Caio Antonio - amico intimo di Catilina e probabile congiurato - fece finta di essere malato per non partecipare alla repressione dei suoi ex complici e quindi il comando delle operazioni fu assunto da un 'falco della casta militare' che odiava Catilina, il generale Marco Petreio il quale riuscì a raggiungere i rivoltosi in una località molto impervia dominata da una rupe e vicino a Pistoia, li trascinò in una battaglia furiosa e spietata nella quale pur difendendosi in modo eroico e combattendo come leoni Catilina e il suo complice Manlio furono sconfitti e loro stessi furono uccisi dall'esercito romano agli ordini di Marco Petreio.
Il Gufo ha raccontato una triste e antica storia romana, quella di una normale campagna elettorale per la carica di console che era iniziata nella demagogia esagerata di promesse assurde e 'fuori dalla realtà' e nelle accuse reciproche con calunnie personali e lettere anonime, era proseguita con brogli elettorali e tentativi di eliminare l'avversario politico per via giudiziaria con ricorsi legali spesso pretestuosi e cavillosi, e si era conclusa dopo le elezioni con il ''non riconoscimento della sconfitta'' da parte del più demagogo dei due contendenti degenerando in violenza vera e propria, in ribellione aperta contro lo Stato, nel tentativo di eliminare fisicamente l'avversario politico con una cospirazione. Una campagna elettorale iniziata malissimo per causa di due demagoghi che purtroppo erano anche abilissimi nell'arte dell'orazione e di turlupinare gli elettori con slogan elettorali assurdi, degenerata senza che qualche anima saggia riuscisse a riportare la situazione nello svolgimento ordinato di una campagna elettorale dura ma corretta, e finita nel modo più tragico e sanguinoso. Una antica e tristissima storia politica romana e italiana, un monito che ci fa comprendere come da sempre, anche dai tempi più antichi, si inizia con la demagogia sparsa a piene mani e a pieni polmoni e si finisce con l'eliminazione fisica dell'avversario politico e con eventi che dopo pochi decenni avrebbero fatto agonizzare la Repubblica Romana facendola precipitare nella dittatura militare e anche nelle sanguinose guerre civili tra ambiziosi e spregiudicati leaders politici e militari
La sola forza della parola consentì a Cicerone di vincere il grande duello in Senato. Con un discorso da politicante abile e consumato che durò diversi giorni, Cicerone riuscì a tirare dalla sua parte i senatori più influenti e quelli indecisi, e a suscitare in loro una dose talmente massiccia di indignazione che quando Catilina tentò di difendersi dalle accuse fu travolto dalle urla demagogiche dei senatori scandalizzati. Catilina perse la pazienza, commise l'errore devastante di abbandonare Roma lasciando alcuni complici al loro destino nelle mani di Cicerone e pronti per essere arrestati, e si ritirò a Fiesole trasformando con quella mossa la vicenda da una dura lotta politica in una vera e propria ribellione con insurrezione militare e armata. Cicerone mandò l'esercito per reprimere la rivolta e la vicenda finì nel sangue, nel modo più drammatico, quando il generale Caio Antonio - amico intimo di Catilina e probabile congiurato - fece finta di essere malato per non partecipare alla repressione dei suoi ex complici e quindi il comando delle operazioni fu assunto da un 'falco della casta militare' che odiava Catilina, il generale Marco Petreio il quale riuscì a raggiungere i rivoltosi in una località molto impervia dominata da una rupe e vicino a Pistoia, li trascinò in una battaglia furiosa e spietata nella quale pur difendendosi in modo eroico e combattendo come leoni Catilina e il suo complice Manlio furono sconfitti e loro stessi furono uccisi dall'esercito romano agli ordini di Marco Petreio.
Il Gufo ha raccontato una triste e antica storia romana, quella di una normale campagna elettorale per la carica di console che era iniziata nella demagogia esagerata di promesse assurde e 'fuori dalla realtà' e nelle accuse reciproche con calunnie personali e lettere anonime, era proseguita con brogli elettorali e tentativi di eliminare l'avversario politico per via giudiziaria con ricorsi legali spesso pretestuosi e cavillosi, e si era conclusa dopo le elezioni con il ''non riconoscimento della sconfitta'' da parte del più demagogo dei due contendenti degenerando in violenza vera e propria, in ribellione aperta contro lo Stato, nel tentativo di eliminare fisicamente l'avversario politico con una cospirazione. Una campagna elettorale iniziata malissimo per causa di due demagoghi che purtroppo erano anche abilissimi nell'arte dell'orazione e di turlupinare gli elettori con slogan elettorali assurdi, degenerata senza che qualche anima saggia riuscisse a riportare la situazione nello svolgimento ordinato di una campagna elettorale dura ma corretta, e finita nel modo più tragico e sanguinoso. Una antica e tristissima storia politica romana e italiana, un monito che ci fa comprendere come da sempre, anche dai tempi più antichi, si inizia con la demagogia sparsa a piene mani e a pieni polmoni e si finisce con l'eliminazione fisica dell'avversario politico e con eventi che dopo pochi decenni avrebbero fatto agonizzare la Repubblica Romana facendola precipitare nella dittatura militare e anche nelle sanguinose guerre civili tra ambiziosi e spregiudicati leaders politici e militari
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