Sempre caro mi fu questo ermo colle
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte lo sguardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella
e sovrumani silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura.
E come il vento odo stormir tra queste piante,
io quello Infinito silenzio
a questa voce vo' comparando, e mi sovvien l'Eterno,
e le morte stagioni e la presente e viva, e il suon di Lei.
Così tra questa immensità
si annega il pensier mio,
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
''L'INFINITO'' di Giacomo Leopardi è il capolavoro assoluto della poesia italiana, scritto da quello che secondo l'opinione del Gufo è il più grande di tutti gli scrittori italiani, insieme al siciliano Luigi Pirandello. Proviamo a comporre ''il puzzle'' di questa poesia, mettendo insieme i quattro ingredienti che sono il pessimismo cosmico nel quale versava lo scrittore, ''il piccolo paesello'' rappresentato dall'ermo colle di Recanati, l'Infinito e la sua immensità, e il silenzio e la quiete che sono la caratteristica principale delle persone che versano in condizione di pessimismo e anche di depressione. Tutto si collega e si mette insieme quasi in modo naturale e spontaneo, lo scrittore solitario si ritira in piccole postazioni che danno una sensazione di ristrettezza ma proprio per questo le visioni dello scrittore sono potenzialmente immense e infinite, la quiete e il silenzio consentono al pensiero di liberarsi e quindi di raggiungere gli inimmaginabili traguardi dell'Infinito. L'Infinito diventa quindi inteso non solamente come spazio fisico potenzialmente immenso, ma soprattutto come spazio temporale e come condizione mentale di un pensiero che quando è libero e riesce a formalizzarsi e a esprimersi grazie all'Arte della Scrittura non conosce limitazioni se non quelle che l'autore pone a carico di sè stesso nei momenti in cui il pessimismo prende totalmente il sopravvento a tal punto da impedire fisicamente la liberazione stessa del pensiero.
L'INFINITO parte dal luogo fisico di un colle che si affaccia sul mare e da un paesello di una Regione straordinaria come le Marche, ma rapidamente lo spazio fisico viene sostituito dall'immaginazione e dagli orizzonti che quasi per incanto si aprono davanti a chi legge quella bellissima poesia. Il vento e lo stormir delle piante non sono affatto diversi dalla postazione del Gufo che apre la finestra in primavera, chiude gli occhi e si raccoglie silenziosamente per ore ad ascoltare il melodioso canto degli uccellini, come se quel concerto musicale spontaneo che nasce e trae origine dalla Natura riuscisse a penetrare l'anima dello scrittore non per il compimento del gesto fisico che è l'apertura della finestra della stanza, ma per la liberazione dei pensieri che quel canto esprime e mette in pratica. L'Immensità, l'Eterno, gli indeterminati spazi, la profondissima quiete e i sovrumani silenzi si aprono nel momento stesso in cui ci si dedica, in modo professionale oppure ''da dilettante'', all'Arte della Scrittura che consente proprio il miracolo di aprire davanti a chi libera i pensieri spazi inimmaginabili nella loro vastità e nella loro stessa essenza, e alla fine la naturale e la logica frase che conclude il pensiero del Leopardi non poteva essere niente altro che ''naufragar m'è dolce in questo mare'', perchè il naufragio nel mare dell'Infinito e dell'Immensità conferisce l'Eternità allo scrittore, ed è la conclusione inevitabile per chi ha vissuto la sofferenza del pessimismo cosmico e della depressione, capisce a differenza degli altri che la nostra condizione non è eterna, e che ''il dolce naufragio'' nel mare di un'esistenza che a un certo punto del percorso è diventata insostenibile non è niente altro che la conclusione del ciclo naturale della Vita e la condizione che apre le porte alla stagione del Grande Riposo
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