"Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse, l'abilità consiste nel ridurre le spese, dando nondimeno servizi efficienti, corrispondenti all'importo delle tasse". La citazione storica è una frase del famoso economista Maffeo Pantaleoni, professore ordinario di Economia alle Università di Napoli, di Pavia e di Roma, ex direttore del "Giornale degli Economisti", ex Ministro delle Finanze della Reggenza Italiana del Carnaro negli anni dell'occupazione da parte del poeta Gabriele D'Annunzio, nominato senatore del Regno d'Italia nel 1923 da Re Vittorio Emanuele III. Pantaleoni oggi sarebbe considerato un falco liberista della politica economica del "laissez faire", ma quando si pensa che questa frase fu pronunciata un secolo fa, e quando si può valutare l'operato di uno Stato italiano che dopo la fine della Prima Repubblica (e dopo l'introduzione della moneta unica che "a parole" avrebbe dovuto cambiare in meglio la vita e le condizioni economiche degli italiani) ha introdotto una dopo l'altra l'I.C.I., l'I.M.U., la T.A.S.I., l'I.R.A.P., le addizionali I.R.P.E.F. regionali e comunali, gli studi di settore, gli indicatori sintetici di affidabilità, il redditometro, lo spesometro, l'obbligo dell'invio telematico delle dichiarazioni dei redditi, la fatturazione elettronica, una marea di condoni fiscali e di vario genere, un continuo aumento e adeguamento "al rialzo" dell'aliquota I.N.P.S. di artigiani e commercianti, il continuo aumento delle aliquote I.V.A., il "fiscal compact" e l'obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione, la riforma delle pensioni Fornero, il canone RAI inserito all'interno della bolletta dell'energia elettrica, e probabilmente il Gufo si è dimenticato altri scempi fiscali e burocratici, la definizione di Maffeo Pantaleoni è forse da considerare come un "eccesso di ottimismo e di prudenza" rispetto a ciò che è successivamente accaduto, e che purtroppo non solo continua ad accadere nel presente, ma (tenuto presente della situazione ai limiti della farsa che si sta consumando in questi giorni della "crisi politica di Ferragosto") probabilmente continuerà ad accadere fino alla conclusione della più sciagurata e inefficiente legislatura della lunga storia politica (già poco entusiasmante) delle legislature della Repubblica Italiana.
Malgrado abbiamo inventato una marea di tasse e di adempimenti fiscali e burocratici (sia cartacei che telematici) e nonostante la mente fertile dei futuri governanti è già al lavoro per inventarsi "tasse patrimoniali" e altre trombonate facenti parte del delirante sistema italiano che purtroppo non chiude mai per ferie, le spese non sono state ridotte, gli sprechi e l'inefficienza sono in continuo aumento, il debito pubblico ha superato abbondantemente la percentuale del 120% rispetto al P.I.L. e ha travolto ogni record storico, la pressione fiscale è arrivata ormai vicina al 50%, i servizi pubblici erogati spesso sono scadenti per qualità e per quantità, ma ogni scadente governicchio che va a sostituire il precedente (spesso inetto e inefficiente) governicchio continua a promettere di essere "il governo della svolta", "il governo del cambiamento", "il governo della discontinuità" e altre baggianate simili che ormai gli stessi teatranti della politica italiana devono ripetere "a pappagallo" ma a cui probabilmente non credono più nemmeno loro; peraltro dopo l'introduzione della moneta unica europea si è riusciti incredibilmente a peggiorare la pessima situazione di crisi economica e finanziaria già esistente nell'anno di (dis)grazia 2002, nonostante da quel momento in poi si sono alternati ben nove governi di tutte le maggioranze possibili e immaginabili in soli diciassette anni (due "governi Berlusconi" nella legislatura 2001 / 2006, poi il Governo Prodi, quindi un terzo "governo Berlusconi", il Governo Monti, il Governo Letta, il Governo Renzi, il Governo Gentiloni e il "governo del cambiamento" tra Lega e M5S presieduto da Conte e appena andato in crisi irreversibile). Conta solamente la conservazione della poltrona, dell'indennità di funzione, dello stipendio "pubblico", a tal punto che ormai non ci si chiede nemmeno più se l'Italia è destinata a fallire oppure riuscirà a salvarsi magari "a rotta di collo", ma ci si chiede solamente "quando accadrà" e fino a quando si riuscirà a rinviare quello che ormai è inevitabile, ossia il fallimento e la bancarotta economica del bilancio statale
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