"La Repubblica" (unico quotidiano nazionale a pubblicare questo tipo di articoli, forse perchè malgrado è un quotidiano schierato politicamente ha mantenuto un livello di giornalismo un po' più serio della media nazionale dei giornali, ormai diventati vere e proprie "tifoserie politiche" ancora più schierate e faziose della stessa "Repubblica") parla del vero dramma che si sta vivendo nella "zona rossa" del Lodigiano, quella del Comune di Codogno e dei paeselli confinanti, ormai palesemente dichiarati come "l'epicentro italiano" da cui ha avuto origine (dal punto di vista geografico) la diffusione del "Corona Virus" su tutto il territorio della Regione Lombardia: si tratta del dramma psicologico che colpisce quei cittadini, che hanno dovuto subire due tipologie subdole e assai gravi di violenza fisica e morale, non meno insidiose del potenziale pericolo di contagio da "Corona Virus".
La prima violenza, descritta da una insegnante di Codogno, è quella della "privazione della libertà" (e in particolare della libertà di movimento e di circolazione): 50.000 persone vivono "di fatto" in un regime dittatoriale, separate dal resto del mondo "per ragioni superiori di sicurezza nazionale" e soprattutto per un periodo di tempo indeterminato; siamo arrivati al punto che nella "zona rossa" secondo una psicologa di Casalpusterlengo il problema reale non è più il panico per il potenziale contagio, ma l'aumento esponenziale della rabbia e della depressione originate dall'incertezza per il futuro "i bambini non vanno più a scuola, i genitori non vanno più a lavorare, gli anziani non possono più assistere alla Santa Messa oppure recarsi a trovare i defunti al cimitero, la cintura sanitaria divide anche centinaia di fidanzati; sarebbe fatale sottovalutare le conseguenze di una quotidianità che è stata sconvolta". Quella che oggi è compostezza e dignitosa rassegnazione, se non sarà presto dato il "via libera" a un ritorno (anche solo parziale) alla libera circolazione almeno all'interno dei Comuni della "zona rossa", potrebbe precipitare in atti di ribellione e di rivolta, perchè nessuno può accettare in silenzio per lungo tempo di vivere "sospeso dal resto del mondo" e recluso a forza nella propria abitazione, senza avere la minima idea del giorno in cui avrà fine questa triste condizione.
La seconda violenza fisica e psicologica è quella che descriveva già Alessandro Manzoni nel suo capolavoro, il romanzo dei "Promessi Sposi" e in modo particolare nei capitoli dal XXXI° al XXXV° che descrivevano la Milano del 1630 decimata da una grave epidemia di peste bubbonica, ossia il clima da "caccia all'untore" con cui ogni ammalato veniva individuato e descritto dalla parte sana (non contagiata) della popolazione come un potenziale portatore di sciagura e di sventura, quindi allontanato dal resto della società, soggetto "a rischio" da evitare a qualsiasi costo. "Ogni confine porta una società a dividersi in due gruppi, tendenzialmente ostili perchè non più uniti da un destino comune": da una parte le persone "rimaste sane", dall'altra parte "gli appestati della zona rossa" perchè come dice uno psicologo di San Fiorano e di Codogno, "chi è rimasto intrappolato qui, si sente colpevole e giudicato come un appestato, sa che il marchio del 'Corona Virus' resterà inciso sulla propria pelle, il luogo di nascita sui documenti li farà vergognare, chi prenota le ferie viene rifiutato dagli hotel, clienti e fornitori evitano le aziende" quindi "dentro la 'zona rossa' monta il rifiuto verso chi è rimasto fuori, a sua volta portati a non perdonare il dichiarato focolaio italiano del virus".
Bisogna riunire "le due entità separate con la forza" riportando la situazione all'unica entità solidale che esisteva prima di questa emergenza, la "zona rossa" e quelli "fuori dalla zona rossa", in modo che al termine dell'isolamento e del periodo di sacrificio la popolazione degli undici paeselli del Lodigiano possa ritornare tra di noi, parte integrante ed essenziale della Regione Lombardia, dell'Italia, della stessa Unione Europea. Accanto ai medici, agli infermieri e agli operatori sanitari di Lodi, di Codogno, di tutta la Regione Lombardia per fortuna sono entrati in azione "gli angeli di Codogno", il gruppo di psicologi che anche utilizzando gli strumenti messi a disposizione grazie ai social network stanno tentando di alleviare la ferita più grave, quella psicologica, e quella separazione violenta che ci impedisce di continuare a interagire con i nostri fratelli più sfortunati, in attesa che il più odioso di tutti i "muri" (quello che separa la "zona rossa" dal resto della Lombardia) possa essere finalmente abbattuto e che si possa lentamente riprendere il cammino verso la riunificazione della nostra comunità
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